Chiazze squamose rosse, spesso argentee, sulla testa, sulle ginocchia, sui gomiti o sulla schiena, nonché forte prurito e talvolta dolore. Molti italiani colpiti da psoriasi soffrono a causa di questi sintomi. Da un lato, il prurito o il dolore ricorrente riducono la qualità della vita e, dall’altro, molte delle persone colpite sentono che il loro aspetto fisico viene notevolmente compromesso, diventando così insicure o allontanandosi dagli altri.

La causa di ciò, infatti, era sconosciuta. Al massimo era possibile alleviare temporaneamente i sintomi, e, se aumentavano, spesso era necessario ricorrere a farmaci piuttosto forti con altrettanti effetti collaterali. Tuttavia, i risultati degli ultimi decenni hanno portato alla luce la causa scatenante della psoriasi finora poco nota e potrebbero rappresentare una grande speranza per molte persone che ne sono colpite.

Correva l’anno 2001 quando Joshua Lederberg quando coniò un termine che sarebbe diventato chiave: la parola “microbiota”. Con questo termine egli intendeva l’enorme comunità di batteri presenti nel nostro intestino. Fino ad allora, questi batteri non erano mai stati considerati come fonte di salute o causa di disturbi, cosa che Lederberg, invece, era determinato a cambiare. Ma lui stesso probabilmente non immaginava che questa potesse diventare la chiave per milioni di persone affette da psoriasi.

Le basi, ovvero in che modo si è riusciti a fare chiarezza negli ultimi 20 anni

Già precedentemente si era cercato di chiarire l’importanza dei batteri nei vari aspetti della vita. Tuttavia, a partire dagli anni 2000 l’interesse aumentò rapidamente, anche perché la diminuzione dei costi del sequenziamento dell’intero genoma (scomposizione del materiale genetico) permise di identificare gli organismi dai campioni senza doverli coltivare, rendendo così possibile adottare un approccio olistico.

Successivamente, emersero grandi progetti sul microbiota, che si occuparono di studiare i batteri che colonizzano il nostro intestino, come, ad esempio, lo “Human Microbiome Project” (dal 2007) o l’“American Gut Project” (dal 2012). Al giorno d’oggi, ogni anno vengono pubblicati più di 20.000 articoli scientifici sull’argomento.

Le scoperte di questi studi sono davvero rivoluzionarie; i batteri del nostro intestino non influenzano solo l’intestino stesso, ma tutto il nostro organismo!

Sono state individuate delle connessioni con altri organi, con il cervello e persino con le malattie mentali.

Le nuove possibilità hanno attirato l’attenzione soprattutto per quelle condizioni in cui, da un lato, le cause sono ancora in parte oscure, ma dall’altro, molti pazienti provano un livello elevato di sofferenza. Infatti, il legame tra batteri intestinali e cute divenne ben presto oggetto di attenzione scientifica. Una delle aree più promettenti era la psoriasi. In quel contesto, si sperava di trovare una chiave che potesse essere d’aiuto sul lungo periodo.

Ci si è quindi chiesti se il fatto che vi siano persone che soffrono di psoriasi e altri problemi della pelle, mentre altre non ne vengono colpite per tutta la loro vita non possa essere dovuto a una diversa composizione del microbiota, cioè quali batteri colonizzano il nostro intestino.

Quali sono le intuizioni rivoluzionarie?

Un pioniere fu Jose U. Scher, professore alla New York University, e il suo team. Il professor Scher utilizzò le più moderne tecniche di sequenziamento dell’RNA per confrontare il microbiota dei pazienti con psoriasi con quello di persone sane.

Fece un’osservazione decisiva, ovvero che la diversità dei batteri che vivono nell’intestino era significativamente ridotta nelle persone affette da psoriasi rispetto al gruppo di controllo sano e che gli stessi tipi di batteri erano assenti in entrambi i gruppi, suggerendo che sono proprio questi che potrebbero essere in grado di influenzare la psoriasi.

Francisco Codoner, professore dell’Università di Valencia (Spagna), sviluppò questa idea. Il professor Codoner e il suo team si impegnarono a fondo e sequenziarono ogni campione di paziente per una media di 85.000 volte. In questo modo, ebbero modo di approfondire le scoperte di Jose U. Scher, dimostrando che esiste un microbiota specifico tipico della psoriasi, diverso da quello della popolazione sana e privo di ceppi batterici molto specifici.

Una domanda, tuttavia, continuava a preoccupare: come si possono utilizzare queste nuove osservazioni per aiutare le persone che soffrono di psoriasi ad alleviare i loro sintomi?

L’idea rivoluzionaria arrivò dalla Cina, più precisamente dai professori Hui-Ling Chen e Yi Bin-Zeng della Fudan University di Shanghai. Entrambi si chiesero se potesse essere utile trasferire il microbiota delle persone sane in tutta la sua diversità a quelle che soffrono di psoriasi. Per verificarlo, condussero uno studio sui topi.

Procedettero dividendo i topi in due gruppi. A un gruppo venne inoculato il microbiota di persone sane, all’altro quello di persone affette da psoriasi. Applicarono poi uno speciale unguento (imiquimod) a tutti i topi: si tratta di una procedura standard per indurre i sintomi della psoriasi al fine di testare in un secondo momento le terapie.

Emerse che nei topi che avevano ricevuto il microbiota di chi affetto da psoriasi, i sintomi della malattia erano notevolmente più forti rispetto a quelli che avevano ricevuto il microbiota “sano”. Apparentemente, un microbiota sano e non limitato nella sua diversità ha contribuito in modo massiccio ad alleviare i sintomi della psoriasi o a prevenirne la comparsa.

Quando gli scienziati esaminarono i microbioti in modo più dettagliato, scoprirono che una differenza importante tra i due gruppi di topi la faceva il batterio Lactobacillus reuteri. Nei topi sani, infatti, era presente in misura significativamente maggiore rispetto ai topi che avevano ricevuto il “microbiota della psoriasi”.

Mancava ancora l’ultimo passo: trasferire i risultati all’uomo. Anche in questo caso, i cinesi furono i primi, e più precisamente gli scienziati del Chinese PLA Medical College di Pechino nel 2019. Gli scienziati G. Yin e J. F. Li trasferirono il microbiota (cioè l’ambiente batterico dell’intestino) di una persona sana ad un’altra che soffriva di psoriasi grave da 10 anni. Nelle settimane successive vennero esaminati sia i sintomi della psoriasi sul corpo sia i danni alla qualità della vita. L’intuizione rivoluzionaria fu che dopo 5 settimane sia i sintomi visibili all’esterno che la qualità di vita migliorarono notevolmente!

Questa è stata la prova che un microbiota sano può migliorare significativamente la psoriasi dopo sole 5 settimane!

Nel frattempo, è stato dimostrato come il microbiota esercita un’influenza determinante sul fatto che le persone debbano o meno lottare contro la psoriasi nel corso della loro vita. Ma come è possibile “impiantare” i diversi microbioti nei topi e nelle persone?

Come millenni di conoscenze sono stati sfruttati

Con l’obiettivo di fornire alla persona affetta da psoriasi il microbiota intestinale di un’altra persona si è fatto ricorso a un metodo antichissimo, ovvero il trapianto fecale. Alla base vi è l’idea che le persone affette da psoriasi presentano una riduzione del numero e della varietà dei batteri “buoni” nell’intestino. Per alleviare i sintomi, è necessario fornire alla persona un microbiota che abbia un numero sufficiente di batteri “buoni”.

Già nel IV secolo, infatti, il cinese Ge Hong e altri ricorrevano alla somministrazione di un microbiota sano per vari disturbi del tratto gastrointestinale. Tuttavia, la somministrazione era alquanto disgustosa. Ge Hong curava le persone affette da psoriasi somministrando loro feci umane per via orale! Più tardi, nel XVI secolo, questa forma di somministrazione verrà presentata con termini come “zuppa gialla” o “sciroppo d’oro”, ma è facile immaginare quanto potesse non essere piacevole al momento dell’ingestione. In ogni caso, questa pratica si può certamente considerare come un predecessore del trapianto fecale.

Oggi il trapianto fecale, chiamato anche infusione di probiotici umani (HPI), viene eseguito in modo diverso.

La procedura consiste nel filtrare le feci del donatore per rimuovere i residui digestivi, per poi trasferire al ricevente gli organismi intestinali vivi. Tuttavia, anche questa procedura non è piacevole, sebbene non risulti sgradevole come un tempo.

La somministrazione attualmente avviene attraverso un tubo nello stomaco o nell’intestino tenue, una colonscopia o attraverso speciali capsule (fino a 30 in un giorno), anch’esse non necessariamente piacevoli.

Gli svantaggi del trapianto fecale – Ci sono alternative?

Purtroppo, il trapianto fecale non è privo di rischi ed è anche costoso a causa del processo descritto sopra. Pertanto, è raramente la terapia di prima scelta, nonostante i benefici. La FDA statunitense, ad esempio, mette in guardia dalla possibile trasmissione di agenti patogeni, malattie e germi multi resistenti dal donatore al ricevente. Per ridurre questo rischio, la ricerca di un donatore idoneo è complessa a causa di molti esami preliminari, ma non è mai possibile escludere completamente il rischio di danni.

Inoltre, il processo risulta sgradevole in qualsiasi forma di somministrazione, sia nell’ambito di una colonscopia (endoscopia intestinale), in cui viene inserito un endoscopio per via rettale nell’intestino, sia sotto forma di capsule (se ne devono ingerire fino a 30 in un giorno assieme ai componenti delle feci).

Pertanto, il trapianto fecale non è un’opzione terapeutica diffusa e viene utilizzato solo in casi molto specifici come in quello della cosiddetta “terapia individuale”.

Successivamente ci si è chiesti se fosse possibile creare una sorta di trapianto fecale “replicato”, che fornisse solo i batteri intestinali benefici, senza gli svantaggi e i rischi specifici, che rendono invece il trapianto fecale convenzionale, ampiamente utilizzato, inadatto a molte persone.

L’idea, ovvero il trapianto fecale senza svantaggi - Un “microbiota intestinale replicato”

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L’obiettivo era creare una copia naturale del microbiota intestinale umano, attraverso la quale poter fornire un “microbiota replicato” per mezzo di poche capsule. In questo modo si annullano i rischi associati a un trapianto fecale e, non da ultimo, lo si ottiene a un prezzo accessibile. Tuttavia, fino a quel momento, però, non vi era stata alcun successo in questa direzione. Fino a quando non vennero formulate 3 ipotesi rivoluzionarie per il successo di un trapianto fecale naturale:

1

Dipende dall’elevata diversità di batteri

Per avvicinarsi all’obiettivo di un “trapianto fecale naturale” è necessario sviluppare un preparato che si avvicini al microbiota umano naturale nella diversità dei suoi batteri rispetto ai prodotti precedenti. L’intestino umano sano è colonizzato da oltre 100 generi di batteri.

Pertanto, il preparato deve contenere un’elevata diversità di ceppi, ad esempio almeno 50 ceppi diversi. Si è trattato di una rivoluzione sul mercato, perché i prodotti disponibili fino ad allora (preparati con batteri vivi) contenevano di solito meno di 20 ceppi, spesso addirittura solo uno!

2

Dipende dal dosaggio straordinariamente alto

Una situazione simile si è presentata al team di Monaco quando ha esaminato il dosaggio dei probiotici disponibili sul mercato all’epoca. La maggior parte dei preparati utilizzati aveva un dosaggio di circa 108 – 1010 CFU (unità formanti colonie). Ciò significa che il numero di germi in grado di riprodursi è compreso tra cento milioni e dieci miliardi.

Quello che pochi sanno è che rispetto al numero di batteri presenti nell’intestino umano naturale, si tratta di un numero estremamente ridotto! Oggi si ritiene che nel nostro intestino vivano 10-100 trilioni di batteri, ovvero più batteri delle cellule che compongono l’organismo umano.

Pertanto, si presumeva che sarebbe stato necessario un dosaggio molto più elevato per creare un vero e proprio “trapianto fecale replicato”.

3

È fondamentale la scelta minuziosa dei batteri

Non tutti i batteri sono uguali. Infatti, anche batteri strettamente imparentati possono avere caratteristiche fondamentalmente diverse. Applicato agli esseri umani, il concetto può essere spiegato con l’esempio di due fratelli che possono avere comportamenti sostanzialmente differenti nonostante condividano un patrimonio genetico in parte identico.

Ciò significa che quando si selezionano i ceppi batterici, occorre prestare molta attenzione a quali ceppi batterici specifici si aggiungono a un prodotto. Ad esempio, non è sufficiente scegliere alcuni lattobacilli o bifidobatteri, ma è necessario considerare il ceppo specifico (ad esempio Lactobacillus reuteri LR92).

Fonti scientifiche

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https://www.psoriasis-bund.de/wissen/psoriasis/

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Da oltre 10 anni, l'azienda SYNformulas con sede a Monaco di Baviera, che con il suo marchio Kijimea è una delle aziende leader a livello mondiale sul mercato dei preparati contenenti ceppi batterici, ricerca prodotti in questo campo. Con pubblicazioni su riviste rinomate come "The Lancet", che sottolineano l'elevato standard scientifico di Kijimea, il marchio ha già ottenuto un grande riconoscimento.

Il team di ricerca del marchio ha sviluppato un nuovo prodotto chiamato Kijimea K53 Advance. Questo prodotto doveva essere fondamentalmente diverso dagli altri preparati nei seguenti aspetti:

1

K53 Advance contiene, come indica il nome, 53 ceppi batterici diversi e quindi, una varietà di batteri molto maggiore rispetto a qualsiasi altro preparato in commercio conosciuto sul mercato. Ciò significa che finalmente esisteva un prodotto che cercava di imitare la diversità del microbiota umano.

2

Il dosaggio è eccezionalmente elevato: una confezione di K53 Advance contiene quasi 600 miliardi di batteri! È stato calcolato che equivale a 30 confezioni di integratori convenzionali. Oppure, se lo si rapporta allo yogurt disponibile in commercio, corrisponde alla quantità di batteri contenuta in ben 25 kg di yogurt.

3

Infine, sono state trascorse innumerevoli ore a selezionare e comporre con cura il prodotto. Il risultato finale è stato un prodotto con 53 ceppi selezionati a mano in modo perfettamente equilibrati. Tra i 53 ceppi c'era anche il Lactobacillus reuteri.

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Come assumere il prodotto K53 Advance?

K53 Advance è pensato per l’assunzione quotidiana. Grazie a questa regolare somministrazione ad alte dosi di una grande varietà di ceppi batterici diversi, si voleva replicare l’effetto degli studi sui topi, con solo una capsula al giorno! Sono tantissime le persone che potrebbero giovare dal concetto di “trapianto fecale naturale” e con una posologia molto semplice.

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Il prodotto può essere acquistato anche presso le farmacie online quelle locali. Bisogna, però, tenere presente che la disponibilità potrebbe essere limitata.

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Perché la maggior parte delle persone opta per la confezione grande di K53 Advance

K53 Advance è disponibile in confezioni da 28, 56 e 84 capsule. Molti clienti optano per la confezione grande da 84 capsule la prima volta, in modo da avere il prodotto a portata di mano anche in caso di ritardi nella consegna dovuti all'elevata domanda. In questo modo si garantisce una continuità anche dopo il primo mese.

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Questo successo si riflette anche nelle recensioni positive dei clienti soddisfatti:

Vittoria A.

"Ottimo prodotto, unico nel suo genere con così tanti ceppi diversi. Anche il confezionamento di ogni singola capsula è ottimale, perché ne garantisce l’isolamento dall’umidità. Lo acquisterò nuovamente."

Francesca F.

"Ho iniziato ad usarlo da poco ma sento già i benefici."

Antonio S.

"Decisamente il miglior prodotto che io abbia mai provato."

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Sandro De Rosso è nato a Milano nel 1965 e ha scoperto la sua passione per la scrittura fin da giovane, collaborando a diversi giornali studenteschi. Dopo la carriera accademica, ha partecipato a numerosi seminari e conferenze sul tema della salute, che gli hanno permesso di combinare la sua abilità giornalistica con la sua passione per la medicina. De Rosso ha scritto per diverse riviste mediche e di salute.

Nel 2005, Sandro De Rosso è entrato a far parte della redazione di Consulente della Salute. Grazie alla sua profonda conoscenza del settore sanitario e al suo talento per una comunicazione scientifica precisa e comprensibile, ha fatto rapidamente carriera. Nel 2015 ha assunto la carica di caporedattore.

Sotto la guida di De Rosso, Consulente della Salute pubblica un'ampia gamma di articoli e rapporti rivolti sia ai professionisti del settore medico sia ai profani interessati. Il suo obiettivo è presentare argomenti medici complessi in modo comprensibile e allo stesso tempo condividere le ultime ricerche. Sandro De Rosso è noto per la sua meticolosa ricerca e il suo impegno per un giornalismo di alta qualità.

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